Non è tutta colpa di Stephen King se un po’ mi fanno paura i clown, lui ha solo portato al paradosso quella che dovrebbe essere una figura divertente, comica, scaramantica. Non è nemmeno colpa di Heinrich Böll e quella doccia di malinconia che mi ha rovesciato addosso. Forse un po’ per William Shakespeare che li ha messi a scavare fosse o per Jerry Lewis che faceva ridere facendoli piangere. Nel profondo mi inquietano, con le loro facce estreme di maschera greca, ma mi attirano come un piccolo dolore o un pericolo controllato. Li temo perché sono imprevedibili, la loro comicità è rappresentazione totale delle disgrazie della natura umana. Certo recitano, ma lo fanno usando il pubblico. Un clown è colui che si dipinge una maschera sul volto e poi ti rappresenta, è la caricatura di un momento, ma è anche un portatore di verità, una specie di specchio. Il clown, il buffone, doveva colpire a fondo per liberare la risata, ma il colpo doveva essere preciso perché non gli si rivolgesse contro. Era un po’ guerriero, nemico del cortigiano. I cortigiani di oggi sono anche dei buffoni, ma solo perché si ricoprono di ridicolo. Forse il clown sono l’uomo e la donna che si sono liberati, indossando la maschera, dalle convenzioni, dai moralismi; giustificati per ogni eccesso purché portino la maschera. Si stanno estinguendo, tolti dalle strade e dai romanzi, messi nei circhi; stanno scomparendo con tutta la loro riserva. Eppure le persone non sono cambiate, le nostre piccolezze sono le stesse. Rideremo sempre di uno spruzzo d’acqua da un fiore finto, o da un uomo che inciampa nelle proprie scarpe cercando di conquistare l’attenzione di una leggiadra ballerina. Forse stanno scomparendo perché ridiamo meno noi.
foto: un clown modella palloncini in Corso Vittorio Emanuele.