giovedì 22 novembre 2012

Della crisi


Ci sto pensando da un po' e credo che dovrò affrontare la questione in più momenti. Tanto per cominciare la definizione del vocabolario non mi piace nemmeno quando la intende come "momento decisivo, scelta". Preferisco pensarla come ad un sinomimo di "mancanza", di risorse, di energia e di scelte. Anzi proprio la mancanza di scelte mi sembra la sua manifestazione più lampante. Per me la crisi è quando manca qualche cosa che dovrebbe esserci e prima c'era, sulla cui presenza confidavo. Quindi mancanza di libertà, di autonomia, allora maggior controllo, polizia e insicurezza. Oppure stanchezza, apatia, quindi resa. La crisi è una motocicletta con le rotelle, è un contratto matrimoniale, è il cibo precotto, è lo sport in televisione, è guardare l'amore degli altri, è lavare una macchina senza la benzina nel serbatoio. Quando le risorse sono poche c'è anche poco da scelgliere, occorre occulatezza, parsimonia oppure, al contrario, grande dispendio come stimolo. Sarebbe bello se bastasse immettere nelle crisi un valore immateriale per uscirne. Allora la nostra salvezza sarebbero i creativi e gli entusiasti. Un detto orientale ricorda che non si può allontare il buio ma si può accendere una candela. In pratica invita a reagire, partendo dal piccolo. Ma la crisi nella mia mente rimane come uno stretto vicolo con alti muri ai lati in cui si avanza con difficoltà, ma chi ha sperante può cercare intanto  spiragli e nuove vie. Se fosse così facile non ci sarebbe problema né per i miei piccoli buii né per quelli della società. O forse entrambi non abbiamo un obiettivo a cui rivolgere il desiderio. Con quale alchimia potremo trasformare la rabbia in sogno?


foto: crisis - 22 novembre 2012

domenica 18 novembre 2012

Luoghi


Nella geografia della memoria i ricordi hanno bisogno di luoghi, di posti, di collocazioni nello spazio altrimenti perdono peso e vagano nella fantasia e nell’amnesia. Nella “Bestia della giungla” il protagonista si ricorda di un pomeriggio a Roma, nei Fori Imperiali, una tenda bianca e un temporale. La sua amica, che per anni ha ripensato a quei giorni, lo corregge ricordandogli che si trattava di Napoli e la tenda era la copertura di una barca. Il luogo per eccellenza è la casa, in questo giorno di piccolo raffreddore, l’unica cosa che desiderassi era tornare a casa mia, benché sia tale solo da pochi mesi. E’ come se un pezzo di me fosse legato a questo luogo e lo abbia sacrificato a “casa”. Il crescere assieme lega, oltre ai corpi e alle anime,  anche gli oggetti. Un luogo per eccellenza è il cimitero. Ho uno scarso culto dei morti, non sento il grande bisogno di visitare le tombe e i miei cari li porto nel ricordo. Preferisco visitare i posti in cui hanno vissuto, sperare di intrecciarne una scia, di qualche tipo, a qualunque branca della fisica o della teologia appartenga. Con la visita di San Bernardino alle Ossa l’idea del luogo finale è apparsa con poca creanza. I proprio resti vengono conservati da altri,e usati, magari esposti. Quelle centinaia di teschi vuoti erano persone, non ossa, erano volti, sorrisi, amori, idee, scelte. Erano tanti di me. Questa unicità che è la nostra vita, si è ripetuta nella sua statistica individualità migliaia di volte nella storia e gli atomi di cui siamo fatti sono gli stessi delle comete e dei dinosauri, o degli ingegneri di Ridley Scott. Ho comprato un altro libro sugli alberi, che per la maggior parte,  nascono, vivono e muoiono nello stesso luogo.



Foto: San Bernardino alle Ossa, Milano - 17 Novembre 2012

giovedì 1 novembre 2012

Con cucina


Il ristorante è pronto, i tavoli sono apparecchiati, il cameriere è sull’attenti vicino all’ingresso pronto ad aprire la porta, il cuoco è in cucina, ha già preparato le basi, le pentole scalpitano di vapore e si tiene occupato decorando piatti vuoti. Nessun cliente entra nel ristorante per tutto giorno. La polvere inizia ad appoggiarsi sulle posate e sulle tovaglie bianche, il cameriere legge e rilegge il giornale appoggiato alla casa. Il cuoco ha buttato nell’immondizia ciò che aveva già preparato. Passano i giorni e nessun cliente compare. Il cameriere e il cuoco iniziano a passare le giornate seduti al tavolo centrale con i gomiti appoggiati stancamente. La cucina è vuota e silenziosa. Le uniformi sono trascurate e i tavoli sanno di abbandono. Nessuno entra dalla porta con le tendine. Se qualcuno entrasse ora si spaventerebbe dalla trascuratezza del posto, il menù sarebbe vecchio, le pietanze banali e forse il servizio scontroso. Nessuno sa perché i clienti ignorino questo posto, forse la posizione, forse la zona, forse il nome sbagliato, o forse solo sfortuna. Nessuno lo sa, chi lo sa non lo dice e il ristorante precipita nelle ragnatele degli angoli dimenticati della città.

Foto: Amleto per cena.