sabato 26 novembre 2011

Confidare nella velocità


Se non fosse pericoloso sarebbe interessante provare a stare immobili tra lo sfrecciare della auto. Sentire quelle masse d’acciaio passarti accanto, cercando di sbirciare dentro ai finestrini. Probabilmente l’adrenalina farebbe vorticare i pensieri e mozzare il respiro, come sospesi su un minuscolo sentiero sopra un crepaccio, pochi centimetri tra la vita e la morte. Ma come nella vita, se gli altri non ti centrano, quello che c’è da fare è mantenere la propria posizione, ed essere consapevoli di come ci si è arrivati. Immedesimarsi nella vita degli altri, che ti sfrecciano attorno, non ha senso e non si può. Possiamo collezionare esempi, desideri, alternative, ma solo per diletto, come sfascia-carrozze ai margini di vecchie statali, come saggi eremiti convocati da chi deve chiedere un consulto o sostituire un pezzo a basso costo. Ora proviamo a camminare sulla linea di mezzeria e immaginiamo di immobilizzare il traffico, facciamo scorrere il tempo in avanti e le auto sono ferme mentre noi sfrecciamo accanto alle loro vite. Il rapporto non cambia, stare immobili tra lo sfrecciare delle auto, per guardare la vita degli altri, non serve.



foto: Fast Lights, 24 novembre 2011

lunedì 14 novembre 2011

Rouge madeleine



Faccio uno sforzo di memoria per cercare di raccontare la storia di uomo, anzi un pezzo della sua storia, perché mi piace pensare che un giorno quell’uomo la possa leggere, trovandola casualmente, e ci si riconosca pur avendo il dubbio di esserne il protagonista. Vi prego di focalizzare un uomo che abbia appena passato i cinquanta anni, sposato ma divorziato da una decina, senza figli e con un lavoro impiegatizio ben pagato ma relativamente ripetitivo. Volutamente ripetitivo, quanto semplice, uno di quei lavori che si lasciano tranquillamente in ufficio la sera, senza il bisogno di portarsi i problemi a casa. Attentamente scelto così per poter dedicare il proprio tempo non lavorativo ad altre faccende più importanti, ad esempio cambiare il mondo. Perché quest’uomo da quando compì i diciotto anni fino ai quaranta sentiva che il senso della propria vita fosse bloccare la deriva che il pianeta stava prendendo: l’ingiustizia causata da un piccolo manipolo di potenti sulla vita di miliardi di persone. Il viscerale odio verso una società basata sulla sofferenza e sull’arricchimento individuale a discapito del prossimo, forte di una morale e di una religione complici dell’annichilimento del pensiero libero e razionale. Questa missione animò la sua vita per anni, rischiando anche nei momenti bui della Repubblica di venir coinvolto in azioni che lo avrebbero schiacciato. Aveva visto i vecchi partigiani piangere, lottare e naturalmente morire, i giovani accedersi e spegnersi, i compagni e le compagne urlare, profetizzare e tradire. Quando divorziò dalla moglie, forse la delusione di quello che visse come un fallimento personale, lo spinse ad isolarsi non in un eremo ma in se stesso. Decise che in fondo era stufo di lottare contro mulini invincibili al fianco di personaggi inaffidabili e umorali. Decise che se la Storia doveva andare in un certo modo lui non poteva farci nulla, che sarebbe restato generoso e democratico, ma non si sarebbe più schierato in prima persona. Tanto la politica la poteva capire anche dai giornali, poteva farsi una sua idea e al limite decidere per chi votare. Poteva leggere i volantini e i programmi dei candidati e scegliere le persone che lo ispiravano, magari non perfette ma che almeno sembravano oneste. Tanto era tutto uno schifo e lui ci aveva già rimesso anche troppo. Al momento si sentiva un paladino della razionalità, del pensiero snello ed individuale, non più al servizio di nessuna ideologia. Anticiperò che questa sua solida posizione di moderno cittadino democratico un giorno si spezzò. Era un luminoso pomeriggio autunnale, un sabato, quando attraversando il centro città si imbatté nella manifestazione di un sindacato. Nulla di nuovo, le solite rivendicazioni, il solito desiderio di giustizia, le solite facce animate di speranza. Solo che poco dietro al corteo principale un piccolo gruppetto di uomini e donne, di diversa età ed etnia, avanzava compatto, al centro un bandiera rossa. Rossa, pura, senza simboli o scritte, soltanto rossa come può esserlo una rosa o il sangue di una ferita. Un piccolo calore gli divampò in petto e un lieve sentimento gli annebbio lo sguardo. Per un attimo si ricordò del desiderio di giustizia, quello che valeva una vita, quello che andava oltre il quotidiano, quell’utopico sogno di uguaglianza. In quel momento sentì che si era allontanato anche se di poco solo da se stesso, da quelli come lui, che forse tradiranno ma che adesso ci sono, e ne verranno altri, perché in tanti scorre quello stesso sangue rosso. Si illuminò capendo che in fondo era importante anche solo per sé sventolare quella bandiera, anche da solo, e tanto solo non sarebbe stato mai. Iniziò a camminare in coda al gruppetto, fissando ipnotizzato quella bandiera rossa, felice e anche se non più protetto da un comodo realismo.



foto: Bandiera rossa, Milano 12 novembre 2011

venerdì 4 novembre 2011

Gli araldi dell’inverno


L’umidità che avvolge i palazzi riempie i vuoti che lo sguardo indagava in estate. Il passo è più veloce e il cuore lo ritma ansioso di arrivare ovunque si debba andare. Il lungo caldo autunno mi aveva fatto dimenticare che l’inverno sarebbe arrivato freddo, umido, malaticcio. Ci hanno pensato gli stormi di piccoli uccelli neri che sincronizzati dall’istinto riempiono l’aria tra i palazzi sfrecciando a pochi metri dalle finestre. Impavidi si lanciano dai tetti scivolando come un tessuto srotolato sulle scale. Il gruppo compatto volteggia come un sol corpo, tranne alcuni solitari che si restano distanti o fermi appollaiati e indifferenti. Si tengono lontani dalle danze, come gli anziani ai bordi delle piste da ballo, un po’ curiosi, un po’ invidiosi, un po’ certi che tanto è tutta fatica inutile. Le persone sciamano uguali nei cunicoli della metropolitana, soltanto un po’ più colorati ma molto più scoordinati e irritabili. Ognuno immerso nell’illusione di percorrere una via unica e individuale, ma che li porterà tutti davanti ad un solitario televisore. Tra un ponte e una festa anche l’inverno passerà, il "gesùbambino" dei centri commerciali già avvita le lampadine colorate: basterà aspettare il Festival di San Remo e sarà di nuovo primavera.


foto: gli araldi dell’inverno - Milano 3 novembre 2011