lunedì 28 maggio 2012

Non si può imprigionare un arcobaleno


Non si può imprigionare un arcobaleno, al massimo si può fissarne l’immagine in una fotografia, ma non è la stessa cosa. L’arcobaleno è una cosa grande, alta come cielo e lunga come l’orizzonte, ogni contenitore esistente è comunque troppo piccolo. Non si può nemmeno conservarne un pezzo, perché esiste solo nella sua interezza e nel punto stesso in cui compare. Eppure insisto nel provarci. Ogni volte mi brucia la voglia di mettermi in macchina e inseguirlo fin dove tocca il suolo, non tanto per trovare la pentola d’oro degli elfi, ma per guardarlo appoggiarsi sulla terra, come i fiocchi di neve invece che come le gocce di pioggia nelle pozzanghere. Ma come le aurore, i tramonti, anche gli arcobaleni esistono solo in lontananza, come fantasmi e riflessi, come esibizioni di molecole vanitose che non si lasceranno avvicinare. Però si possono condividere, scoprire all’improvviso e indicare con stupore a chi ci è vicino, condividerli senza possederli, coglierli senza consumarli, lasciarsi incantare senza un risveglio dopo.


Foto: arcobaleno, 24 maggio 2012

domenica 20 maggio 2012

La mano invisibile


Sembra che esista, e che molti ne abbiano provata l’esistenza, una presenza che agisce in maniera invisibile nella nostra vita. Come una radice che compare all’improvviso nel bel mezzo del marciapiede per farci inciampare e subito scompare. Come un ladro veloce che vi nasconde un oggetto quando serve per restituirvelo quando diventa inutile. La stessa entità che vi sposta i cartelli stradali, gli abiti negli armadi, che vi trattiene o vi spinge ostacolando i vostri movimenti, apparentemente per mettervi in imbarazzo. Però è la stessa mano che picchia sulla vostra spalla per farvi voltare quando qualcuno vi sta fissando. E’ quell’alito che soffia all’orecchio scatenando brividi quando sentite che un momento speciale sta per incominciare. A volte è una guancia che si appoggia alla vostra quando la tristezza è esondata e sembra che ci sarà solo buio. Qualunque cosa sia, indipendentemente da dove venga, di che materia sia fatta, che sia reale o no, purtroppo sembra che non ascolti le nostre richieste, che non accetti ordini o desideri. In effetti l’udito è inutile alla sua esistenza, perché osserva solo noi, estrae i nostri pensieri e ci gioca: del resto del mondo non se ne cura. Se non riesco a concludere con chiarezza questo pensiero, o se ci sono errori in questo testo, è sicuramente colpa sua.

Foto: il suicidio dell’ombra, 2012

giovedì 3 maggio 2012

Papaveri rosso sangue






Mi metterò un appunto sul frigo del tipo “quando non hai voglia di partire, ricordati che è il momento giusto”. Sono bastati pochi chilometri per sentirsi abbandonare da una presa soffocante. E’ bastata una vacanza breve per prendere appunti su di me, tramite sogni agitati, del mio limite. La discesa nel pozzo di San Patrizio è stata una passeggiata: come camminare in una metafora del mio umore. Per fortuna che T. entusiasta delle strade antiche si è sobbarcata la guida di un migliaio di chilometri, lasciandomi perdere tra i faggi verdissimi dell’Amiata, le morbide colline che annunciano il mare, punteggiate di papaveri rosso sangue, che ora so non essere l’esagerazione dei poeti. Grazie anche al suo fidanzato che conosce fucine di pasta fresca che sono vere oasi di perdizione. Peccato la pioggia e le gocce che cadono sull’obiettivo della macchina fotografica, che fanno tuonare la mia rabbia placata sono dalla gioia di vedere gli amici estasiati tra le meraviglie di Niki de Saint Phalle. O perdersi nelle meraviglie di Spoerri, il cui incanto non è nella bellezza del singolo pezzo, ma dal volerti trattenere per sempre, per trasformarti (si spera) in un pezzo tra di loro. E c’era una piccola bambina che non voleva entrare nell’orco del parco di Bomarzo per paura che questo faccione di pietra la chiudesse nelle fauci. Cogliere la banalità di sentirsi dire che viviamo in un paese incredibile, dove ogni angolo nasconde un tesoro, dove ogni valle culla un miracolo. Non è necessario scovare un borgo aggrappato all’esistenza di un cocuzzolo di tufo, basta un capanno su una spiaggia, o un vicolo. Oppure i gradini di un antico convento trasformato in moderno albergo, consumati dai milioni di passi che li hanno accarezzati, come il vento con le rocce d tufo. Dovrei segnarmi i verbi all’infinito di questa piccola vacanza: andare, cercare, passeggiare, gustare, respirare, guardare, guardare, guardare.

foto: Viterbo, guardata con sospetto