venerdì 28 dicembre 2018

Universo


Tra il grande e il piccolo la differenza così come l’assegnazione sono relative. Sono i loro superlativi che fanno chiudere un ipotetico e semplificatorio cerchio in cui il grande e il piccolo si sovrappongono. Il nostro cervello nella sua necessità di controllare ciò che ci circonda per difenderci dai pericoli modella le immagini in modo famigliare, ma poi esistono strane coincidenze. Che il modello atomico basato su un nucleo e delle particelle che girino attorno sia un sistema solare in miniatura è una delle rappresentazioni più affascinanti della terra. C’è bastato poco per superarla e la similitudine Cosmo - atomo si è schiantata contro il muro della fisica quantistica. Le particelle atomiche sono piccolissime e noi siamo piccolissimi soltanto guardando la nostra galassia. Siamo maledettamente piccoli, persi e fragili; aggrappati ad una  zolla lanciata ad una velocità pazzesca nel vuoto. Ci dobbiamo guardare  piedi per non avere paura. Non so se ha ragione Gurdjieff e la nostra mutilazione del “kundabuffer” ci obbliga a vivere in questo stato di inquietudine, oppure occorre pensare ad Adams e al suo “vortice di prospettiva totale”, immaginarcelo dentro noi pronto a ricordarci la nostra dimensione infinitesimale e precaria. Così guardando il piccolo ci accorgiamo che la nostra quotidianità non è che una rappresentazione di un mondo invisibile le cui leggi non sono nemmeno rappresentabili mentalmente e non hanno nulla a che vedere con la nostra esperienza. Il grande invece ci schiaccia e ci parla di quotidianità eterne rispetto alla nostra e forse di altri modi di vivere lontani e paralleli a noi. Ci servirebbe un dio che ogni tanto venga a tranquillizzarci e incoraggiarci della nostra minuscola presenza nel suo colossale marchingegno. Non ci serve di certo un dio distaccato che guarda la nostra pallina rotolare sapendo già dove cadrà e non considerando i piccoli cuori palpitanti che l’abitano. In fondo, anche le cavie di laboratorio ogni tanto vengono accarezzate.



Foto: A travel - Carlos Silva - Agoo  - 1965 (detail) Malba - Buenos Aires

giovedì 27 dicembre 2018

Il deserto


Il deserto io lo conosco bene: ci ho abitato. Non importa dove vivo o dove ho vissuto, il deserto me lo portavo dietro. Non pensare al deserto delle emozioni, delle relazioni o dei valori morali, geograficamente era più simile al deserto sabbioso del cinema. Il deserto prima di tutto è un spazio ampio, senza confine se non l’orizzonte. E’ quindi un posto da cui non si può facilmente uscire, non ci sono strade o sentieri, forse ci puoi trovare delle  direzioni, ma imprecise. Sul deserto il sole compie un arco e ciò complica ancora di più l’orientamento. Il paesaggio è costante anche quando è mobile, o meglio, se si muove si riconfigura in un modo comunque già visto, o che ti sembra tale. Puoi stare sulla sabbia, sulla roccia, sull’erba gialla, sull’acqua, sempre deserto è. Nel deserto non dovresti incontrare nessuno di vivo, tranne animali pericolosi, umani compresi. E’ chiaro che è un posto da evitare ma come tutti i posti pericolosi ci attira potentemente; la nostra mente ha bisogno di una pagina bianca per disegnare, senza appigli che semplifichino il finale del percorso. In questi spazi aperti possiamo immaginare tutto ma cercheremo sempre un riparo, un persona assente, un tesoro o una città perduta. Il deserto è come quello stato intermedio della pelle che dopo una bruciatura tende a guarire, ma lascia sempre un alone del segno della ferita, una pelle differente di tipo diversa da quella che la circonda. Il mio deserto era particolare: tutto bianco, come se fosse di marmo, ma non freddo quasi tiepido. Era molto silenzioso, ma non c’erano echi o la pressione del vuoto sui timpani; come se qualcuno si fosse dimenticato di accendere l’audio durante la proiezione di un film. Era piano e liscio, ma attraversarlo era faticoso come andare in salita, come camminare con l’acqua sopra al ginocchio. Era molto personale, tanto da non riuscire a mostrarlo a quelli vicino a me, ancora oggi mi è difficile descriverlo. Non ci vivo più da un po’ ma me lo porto dietro; non vorrei mai usarlo come rifugio ma sento che all’improvviso potrebbe risucchiarmi. Allora lo scrivo qui così saprai dove trovarmi.


Foto: Sittin' on the dock on the bay Aprile 2017

venerdì 21 dicembre 2018

L'uomo con le ossa di vetro


C’è un posto dove abita un uomo con le ossa di vetro e si può ben capire che tipo di vita faccia. Ogni piccolo incidente, ogni istantanea sfortuna, può essere per lui la rovina. Qualcuno dice che sia un fuoriuscito da un film di JP. Jeunet ma ciò non è importante.
Eppure quest’uomo vive una vita normale: esce di casa la mattina e usa i mezzi pubblici, lavora a contatto di altre persone, esce con gli amici, va alle feste. Ovviamente presta molta attenzione a chi gli sta intorno, ai distratti, a chi parla sbracciando, ai marciapiedi dissestati, agli spigoli dei tavoli e dei comodini, alle porte automatiche, alle inaugurazioni dei centri commerciali. Negli anni si è procurato molte fratture, ma che tutto sommato si rimarginano velocemente, alcune però gli fanno ancora male e spesso scricchiolano rievocando l’incidente che le ha generate.
Nei momenti di silenzio, oltre al suo respiro, se gli state molto vicino potete sentire un rumore di cucchiaini che toccano leggermente un bicchiere di cristallo: sono i ricordi dolorosi delle sue fratture.
A volte senza urti, senza incidenti, senza apparentemente motivo qualche cosa si rompe dentro di lui e l’uomo risuona come un disco di Mike Oldfield ed una vampata di dolore lo invade. Quindi gli capita  nel mezzo di un gesto normale di fermarsi congelato quasi fulminato. La vampata dopo qualche minuto, a volte qualche mezz’ora, passa ma lascia in lui la rinnovata consapevolezza della sua fragilità, anch’essa molto dolorosa.
Per una sorte bizzarra la gioia non emette rumore, ma sono certo che sotto la pelle le sue ossa si illuminano di luce bianca, come un lampo al fosforo in un film in bianco e nero.
Sono tanti i suoi momenti di gioia  ed è per questo che l’uomo dalle ossa di vetro non rinuncia al dolore, sa benissimo che ciò che per gli altri è un piccolo fastidio per lui può essere un grande dolore , ma ciò che per gli altri è un piccola gioia per lui è un orgasmo di luce. 



Foto: Christmas Nest, PB 2018