In ogni istante della nostra vita espandiamo messaggi, come una scia di profumo o come il lampeggiare di un segnale di attenzione. In continuazione ripetiamo, senza parlare, chi siamo o vorremmo essere, e cosa cerchiamo. Alcuni di noi espandono messaggi così confusi che l’effetto è comunicare l’opposto. Il nostro sguardo, un dettaglio del nostro abbigliamento, la posa del corpo, il tono della voce che usiamo per rispondere ad una domanda improvvisa, svelano un pezzo di noi che è sotto la corteccia. Io non sono bravo a leggere questi messaggi, però mi invento di recepire centinaia di segnali che forse non esistono. Chissà se sono bravo invece a trasmettere inconsapevolmente il mio segnale? Quel messaggio flebile che prima di arrivare alla coscienza di un osservatore casuale si disperde in gran parte, si altera, e lascia una traccia atomica che deve venire interpretata. Sono affascinanti i messaggi del corpo. Certi corpi li lascerei parlare per ore, certi no. Eppure involontariamente l’immagine di noi che vogliamo tramettere spesso non arriva, o si decompone e giunge a decine di spettatori in decine di modi differenti. Come la luce che disegna le fotografie che non riconosciamo, perché i nostri sensi non sono oggettivi e costruiscono immagini non reali. Come i primi archeologi delle piramidi cerco di dare un senso agli enigmi del tuo sguardo, del tuo non detto, del tuo scritto, del differente taglio di capelli e del tempo che impieghi a percorrere un metro di asfalto. Ciò che ne ricavo non serve a nulla, se non quando l’armatura è posata, a divenire il materiale con cui si costruiscono i sogni. E’ la che ti ho costruito, è la che ti ho chiuso, è da la che devi cercare di fuggire.
Foto: Stresa, Isola dei Pescatori, 21 agosto 2010
Foto: Stresa, Isola dei Pescatori, 21 agosto 2010