mercoledì 15 giugno 2011

Lasciati sfiorare


Fermati un attimo, solo un attimo, tanto sai che non posso trattenerti. Mi sfuggirai anche questa volta e ciò che adesso è presente, domani sarà vago, mischiato e sporcato dalle mie fantasie. Ti ho aspettata molto, perché molto ci hai messo a mostrarti. Prima il Sole, poi i palazzi, sempre la tua fuggevolezza. Non ricordo di averti mai vista così vicina, così prossima ad essere afferrata. Lo so lo dico sempre, ma sembra sempre un momento nuovo. La tua passeggiata questa sera sarà breve, una corta parabola per poi sparire dagli occhi. Ti immagino ridere, ti sei fermata vicino al lampione per prendermi in giro, per non farti “immortalare”, tu che sei eterna. Scusa, no, per il lampione non alludevo a nessun doppio senso. Non so se me lo chiederai, però ti rispondo ugualmente, "sì il vestito rosso ti sta d’incanto".



foto: eclissi di Luna, 15 giugno 2011

mercoledì 8 giugno 2011

Forse nel paese dei sogni, forse nemmeno in quello


Sarebbe bello se esistesse una macchina che trasformasse un pezzo di metallo in calore senza usare altra energia se non gli atomi del metallo stesso, e se con questa energia si potesse produrre vapore per far girare una turbina che generasse elettricità a basso costo. Se ci fosse dovrebbe essere facilmente controllabile, magari non dovrebbe esplodere spargendo nocive radiazioni che possano persistere per secoli. Se esistesse gli scarti del suo processo non dovrebbe essere né nocivi né inquinanti. Ma se così non fosse sarebbe meglio non usarla. Primo perché è una macchina, e le macchine si rompono, secondo perché è affidata alle cure degli uomini, che a volte hanno come primo pensiero il proprio utile o magari la riduzione dei costi. Io di questi uomini non mi fido. Se esistesse una tale macchina di sicuro non sarebbe una delle attuali o prossime centrali nucleari. Ma se anche fossero un poco più sicure non mi fiderei di questi signori che poi devono commissionarle, che hanno amici avidi che gestiscono già male quello che hanno, che vogliono fare ponti dove non servono e godono se ci si sono i terremoti. Per me è come se il Referendum mi chiedesse: vuoi mandare a quel paese questi signori? La risposta è sì. Per esserne sicuro che la capiscano gliela ripeto quattro volte.


foto: antinucleare, Aprile 2011

martedì 31 maggio 2011

Qualche cosa è cambiato


Un respiro profondo liberatorio e tanti abbracci stretti. In ogni caso qualche cosa è cambiato, c’è un’emozione e un desiderio profondo di viverla che da tempo mancava. Non mi piace chiamarla speranza, perché suona come una vaga illusione, invece sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando. Sorridiamo alla primavera che ci sorride.


foto:
Milano 30 Maggio 2011, vittoria al ballottaggio di Giuliano Pisapia alla carica di Sindaco a Milano

sabato 28 maggio 2011

Il posto in cui stare


Fortunati quelli che vivono o lavorano vicino al mare, ma proprio vicino, tanto da poter portargli un saluto tutti i giorni. Ogni giorno deve essere uno spettacolo diverso, con una storia eterna e un finale da scrivere. Fortunati anche quelli che hanno un grande lago, magari con le montagne in fondo, per far riposare gli occhi, come se le pupille potessero volare fin là. Io mi accontento di rubare le storie della vita degli altri. Resterei per ore a guardarvi, da una vetrina, in una via laterale del centro, con la macchina fotografica accucciata al mio fianco. Mi piacete molto. Adoro immaginare le vostre vite, tessere le vostre storie e illudermi di capirvi.


foto: Cuoco in pausa, Milano, 28 maggio 2011

lunedì 23 maggio 2011

La paura senza minaccia


Ma quando il traguardo è vicino, o anche solo possibile, voi non sentite una specie di paura? Come se la Vita avesse come regola il dovervi fare uno sgambetto proprio sul più bello, come in un "gioco dell'oca" truccato.


foto: Il mostro tremendo del centro città from Flickr

mercoledì 18 maggio 2011

Una rondine in gabbia non fa primavera


Si insinua vicino all’orecchio destro, proprio sotto al lobo nel punto dove è bello ricevere un bacio, un malsano pensiero che sa di rabbia. Una pungente voglia di girarsi di scatto, chiudendo gli occhi e aprendo le mani, far cadere tutto. Per poi ficcare le mani in tasca e camminare soli per un proprio marciapiede. Ad un certo punto si può dire basta, dopo averci provato per anni, si può dire fottetevi. Se vi piace tutto ciò che io detesto, godetevelo da soli. Fatevi avanti rapaci se preferite il presente ad un futuro, che nessuno può garantire migliore, ma almeno alternativo a tutto questo. Prendetevi pure tutti i posti al sole, sdraiatevi ammassati ai palloni e alle borse frigo, storditevi di suonerie, io vado al bar a mettere in ordine di colore gli ombrellini dei cocktail, vado a vedere come fanno le conchiglie a farsi accompagnare dal mare sulla spiaggia. Però non mi parlate più di cose che si dovrebbero fare, di doveri e di morale a tempi alterni. Non voglio conoscere né le storie dei martiri né quelle degli eroi, di quelli che sono morti per una cosa che non ho fatto in tempo a capire perché l’avete rovinata prima che si potesse completare. Le ondate di depressione e di entusiasmo cavalcate dai giornalisti e dalle persone che parlano in metropolitana non mi divertono. Non sento il vento, ma una brezza leggera istantanea come uno starnuto. Come un mazzo di fiori regalato da un adultero alla moglie. Preferisco ascoltare quel suono lontano che non riesco a riconoscere e che non mi lascia dormire.


foto: Ricordati di girare la pellicola, flickr

venerdì 13 maggio 2011

Il meglio del meglio


Le decisione venne presa con la leggerezza con cui si fanno le azioni evidentemente giuste. Quali queste siano non chiedetelo a me, ma a chi riesce a sorvolare sulla rovina che campeggia sotto il sole sui marciapiedi. Presa la decisione l’atto scaturì a piccoli passi ma con azione costante. Si circondò di cose belle, liberò il tempo dalle cose noiose o spiacevoli e lo riempì di gusto. Non disse più né sì né no, ma si mosse veloce perché nessuno potesse intercettarlo e fermare il suo piano. Per prima cosa annullo il pensiero: passare dal bello, al giusto, al gustoso, al profumato, all’intelligente, al prezioso non necessità di lunghe riflessioni. Poi annullò il riscontro, invertendo il Big Bang, contraendo tutto l’universo ad una piccola palla grande come la propria lingua, per poterlo contenere dentro di sé; lo fece perché tutto ciò che non fosse sé stesso non desse fastidio. Alla fine venne un pomeriggio di domenica, perché la domenica è la traditrice dei cercatori, quando si fermo al centro di un suo salotto, guardò la grande finestra di fronte e crollò. Immaginatevi un Poldi Pezzoli del nuovo secolo, più rapace e più sofisticato, più affamato e più metodico; illuminato dal sole di Maggio in faccia, immaginatelo colto da un conato di vomito, di rabbia, come se tutto il brutto, il vuoto, il marcio che aveva rigettato si presentasse improvviso in un istante solo, nella gola vicino alla lingua. Così dovette crollare, a terra nel centro esatto della propria collezione, per non aver raccolto l’unica cosa che valesse la pena di possedere. Purtroppo non lasciò detto cosa.


foto: Drive me out from all these words, flickr