venerdì 29 giugno 2012

Myself


C’è un gran silenzio ovunque, solo di tanto in tanto qualche rumore di sedie spostate: sta per iniziare la partita. Aderisco molle alla presa del divano, con il braccio destro lungo lo schienale tengo il bicchiere tra i polpastrelli facendolo girare pigramente. L’altra mano è appoggiata sulle gambe con l’anulare che fa da segnalibro alla rivista. Ho abbassato tutta la luce della casa, un po’ ne filtra tra le fessure delle tapparelle, resta una lampadina alle mie spalle che mi ricorda che non ho ancora comprato un lampadario. Troppo buio per leggere, troppo caldo per muoversi. Inizia l’inno, lo ascolto in lontananza dall’audio dei vicini, tutti i vicini. Lo canticchio piano, lo trovo sempre molto coinvolgente. Iniziano le urla sconnesse, le bestemmie, i “no” e i “sì”, per lo meno non ansimano. Credo che avrebbe più senso, e forse sarebbe l’unica attività che possa muovermi ora da qui. Casa, divano, whisky, penombra, quando ho immaginato questo traguardo? Quanti anni sono passati dalla prima volta che l'ho? Oggi sento che l’ho raggiunto. Vuoto il bicchiere, mi alzo, accendo la radio e prendo la macchina fotografica: mi riconosco.

foto: It's my time now, 29 giugno 2012

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