domenica 26 febbraio 2017

Cerchiamo di inventare un gioco nuovo


Inventiamo un gioco che non sia la metafora della guerra, dove non si debba annientare o umiliare l’avversario. Facciamo che non sia la trasposizione di una battuta di caccia, il contendere una preda con un branco o con un singolo campione. Non si deve giocare da soli, nemmeno uno contro l’altro, possono giocare più squadre o giocatori singoli contemporaneamente. Devi poter giocare anche se non vuoi stare in una squadra, oppure facciamo che il numero di componenti di una squadra non conti, valgono anche le squadre assenti. Facciamo che non ci sono ruoli o parti da interpretare. Che se ci sono delle regole le diciamo subito oppure tutti le dobbiamo scoprire durante. Magari se le scopriamo, nel mentre, fermiamoci un attimo a parlarne. Facciamo che lo scopo del gioco non è vincere, ma l’orgasmo della vittoria sia spalmato per tutta la durata del gioco indipendentemente dal risultato. Deve essere un gioco in cui ognuno ci mette del suo, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche. Non ci si iscrive, ci si trova la e si gioca. Lo vogliamo un arbitro? Non lo so, però se c’è ha sempre ragione lui e se sbaglia è implicitamente un giocatore. Facciamo che un gioco così non potrà mai esistere, oppure se esiste, dovete dirmi come si chiama e perché non ci avete mai fatto giocare.


foto: Let's invent a new game

giovedì 16 febbraio 2017

Chiamata ai poeti



Quanti poeti ci sono intorno a me? Quanti si fermano senza fiato trafitti da un raggio di luce che rimbalza in modo imprevisto? Quanti ammutoliscono per aver visto un dettaglio che gli ha toccato una corda profonda e se ne portano dentro le vibrazioni per ore?
Uno sguardo rubato per strada? Un saluto dal tono sbagliato? La coincidenza di un pensiero, di un incontro e di una scritta sul muro vi imprigionano?
Sappiate che il mondo è vostro, dicono, ma lo state lasciando in mano a chi non ha tatto, a chi lo guarda come se guardasse il proprio riflesso nei vetri della metropolitana, soltanto per non guardare. Sappiate che avete un tesoro che non potete donare, che malamente sapete raccontare. La consapevolezza vi renderà ricchi, ma solo per potervi donare.


martedì 4 ottobre 2016

Compasso


Ho ascoltato il vento che mi parlava di me, diceva ciò che non volevo sentire. Forse non era il vento ma un amico dietro una birra. Ho cambiato le vele per spostarmi lentamente tra i flutti quotidiani, lasciando che i porti lontani si avvicinassero senza sorprendermi. Ho rinunciato alla gioia improvvisa, quella col sapore del vino forte, ma mi sono liberato dai sorsi amari.
Mi sono seduto, dove forse Socrate aveva pisciato di nascosto un pomeriggio, e ho sentito il giro delle vite stringente come un abbraccio.
Ho frugato nelle probabilità mettendo la mano nel gorgo di ciò che non conosco sperando in un colpo fortunato. L’ho ritirata cinico, deridendo il mio tentativo infantile.
Ogni mattina mi chiedo “come stai?” , forse te lo chiedo, forse glielo chiedo. Ma per favore non rispondete tutti assieme.
Ho avvistato qualche cosa, viro nella sua direzione, sperando sia un’isola o una balena, forse un detrito galleggiante.
Avevano ragione Baudelaire e Pavese.



Foto: Stillness, 21 Agosto 2016