martedì 23 giugno 2015

Goodbye Gotham


Non potevo non tornarci dopo quella fugace visita di poche ore e ci sono tornato per otto intensi giorni. E’ la città che tutti conosciamo, l’abbiamo vista in tutti i film e su tutti i vestiti. Se fosse una donna ne avremmo un’idea un po’ pornografica, come conoscerla in ogni sua intimità senza averla mai incontrata. Ma non è così, esattamente come se fosse una donna, non sarebbe mai quella che viene rappresentata. Se metto in ordine le sensazioni parto dall’olfatto, dall’odore di pattume lasciato sotto il sole fino a metà mattina invece dell’odore di smog che mi aspettavo. Per ultimo lascio il gusto, in un paese che non ha cultura culinaria e non la vuole, vorrebbe avere a propria disposizione quella di tutti i paesi ma poi li relega in ristoranti oscuri o in catene di fastfood dal sapore di ciclo fordista.
Il tatto non esiste, non ci si sfiora, nemmeno per passare la carta di credito al commesso. Non si toccano i passamano o i pali della metropolitana, ci si intimorisce nel pensare a quante mani li abbiano già toccati. La vista si confonde, dopo pochi minuti gli alti palazzi senza altri riferimenti sembrano tutti bassi uguali, casermoni di cemento e mattoni o di vetro e alluminio. Anche dall’alto, o dal fiume, resta uguale. Un mazzo di grattacieli che cercano il cielo per respirare e per mettersi in mostra, singole piume di una grande coda di pavone. Ma è il sesto senso che vibra senza posa, quella sensazione che dice che è esattamente quello che ti aspettavi: non una città ma la rappresentazione spettacolare di una città. Tutto, il dolore, la gioia, il sesso, la rabbia, l’individualità, la socialità sono rappresentate e portate a livello di spettacolo. Il memoriale dell’11 Settembre è l’icona di una incapacità di considerare le cose in un contesto, ma da isolare in bacheche, estremizzarle per renderle colossali, da ammirare e quindi distaccarle dal quotidiano. La gente, bambini compresi, si tatua il corpo perché scritte sulle magliette, ma nemmeno le mode, riescono più a raccontare queste milioni di vite e le loro singolarità. Il bombardamento di stimoli, che non la farebbe dormire mai, è in realtà un matra ripetuto con poche note variazioni. Il fermento vero, quello dell’anima, se c’è non si percepisce da turista. Forse è sotto i marciapiedi e si sfoga all’esterno con una costante nebbiolina calda. Forse è nelle strade più lontane dal fiume, a nord, dove le metropolitane si diradano e le vie si chiamano con numeri a tre cifre. Forse è nelle case minuscole, che si riempiono subito di cose, di ricordi ed emozioni, tanto che la gente deve mangiare fuori, nei parchi o sui gradini. Sono però sorridenti o recitano bonariamente lo sguardo da duri, gli immigrati ti raccontano che qui hanno avuto la loro possibilità. La chiamano “qui guadagno tanti soldi”, non ti dicono mai quanto, ma sono sempre tanti quanto bastano per dirsi rinnovati. Non è un buco che attrae per masticare, è una culla che vuole accogliere. In cambio chissà cosa pretende? Forse si accontenta che venga recitata la parte assegnata. New York non è un palco scenico, è uno scrittore che si nutre di persone per costruire il più grande diorama del pianeta.

Foto: NYC, Giugno 2015

sabato 28 marzo 2015

Io, adesso


Questo sono io adesso. Questo è quanto poco sia io adesso. Manca qualche dettaglio, manca il tutto quello che vorrei essere, ma questo sono io. C’è il mondo in cui vivo e non capisco, quello che cerco e quello che vorrei costruire.C’è tutta la teoria e la mancanza di pratica, il desiderio e il vuoto che lo realizza. Sembra pieno ma è solo confuso, come i continuo flusso di pensieri che si scontra nella mia testa come le nuvole di di un temporale. C’è anche, l’ho intravisto, il mio continuo conflitto con tutti e con tutto, sono un naufrago su un isola deserta che litiga con una noce di cocco. C’è il sole, ma dovrebbe esserci la sera; c’è il viaggio ma dovrebbe esserci la paura. Ho promesso si essere clemente con me stesso, almeno quanto lo sono con gli altri. Dovrei partire da qui per impormi a me stesso.


Foto: Io, adesso. 28 Marzo 2015

venerdì 16 gennaio 2015

Aggiornamento da lontano


Ciao, è da un po’ che non ci si sente. Come va? Non dirmi che non ci sono novità perché non può essere vero. Il mondo vive sempre le sue tragedie, alcune silenziose alcune molto rumorose. In fondo quelle che si sentono di più sono anche quelle che fanno sembrare la gente più umana, o semplicemente solidale. Se lo fosse per ogni tragedia le dimostrazioni di dolore e indignazione non finirebbero più. Ma le tragedie finirebbero? Sì anche tu hai partecipato, hai fatto bene. A volte è importante esserci per essere sicuri di… esserci. Il resto? Il solito spazio vuoto? Ah, no come lo chiami tu… il deserto di marmo? Su... passerà, tutto passa, o passa questo o possiamo noi. Ma sì, sono piccole delusioni, che offuscano i momenti di felicità. Dai facciamo qualche cosa, programmiamo qualche viaggio, andiamo a vedere qualcuno o qualcosa! Capisco, l’agenda è già piena… sarà per un’altra volta, magari quando vuoto e pieno non coincideranno.



Foto: Mandala - Pantigliate (Mi)