“Ti amo” ha detto, l’ho sentito chiaramente. Glielo ha detto stringendola e lei lo ha guardato un po’ sorpresa, quasi divertita, o forse imbarazzata. Non ci posso credere, non voglio credere che gli abbia detto per la prima volta “Ti amo” in metropolitana. Da come ha reagito lei non sembrava una frase usuale. Veramente avrà sprecato l’incantesimo di quella formula magica nel rumore dei vagoni, nella puzza dei vestiti degli altri, nella pioggia e nella stanchezza del venerdì sera? Io che l’ho detto una volta sola, ancora mi meraviglio di chi lo dice così come direbbe una cosa qualsiasi. In questa nostra razza di spergiuri forse c’è poco da meravigliarsi. Quando lo dissi io, mi guardò come se avessi fatto una battuta stupida e fece uno sbuffo. Da allora non l’ho più detto, l’ho pensato, ma non sono arrivato a dirlo, per lo più per questione di tempo. E’ in fondo una cosa che tengo per me, che custodisco in attesa di consegnarla. Come quei piccoli oggetti che da bambini ritenevamo amuleti, lo sapevamo benissimo che non valevano niente, però erano importanti. Per me le parole sono importanti e l’aria è densa delle parole che dico e che ascolto, come se fossero tracciate nell’ossigeno. Non è vero che verba volant: restano e pesano. Eppure quella sera io l’ho sentito, forse è scappato fuori, come il respiro trattenuto troppo a lungo. Allora lo capisco che non ce la fai più a tenerlo dentro, che ti scoppia come un singhiozzo. Speriamo solo che lei lo abbia accolto come merita.
Foto: 9 novembre 2013