Sandra uscì di casa con il suo dolore al centro del petto. Un dolore che non aveva nulla di cardiaco e di cui conosceva tutto: sapeva da dove veniva, perché era li e che non sarebbe passato. Era una pesante palla chiodata appoggiata sullo stomaco che, ad ogni passo e ad ogni pensiero, ricordava la sua presenza. Sandra uscì con lo sguardo un poco opaco, forse per le lacrime a capolino delle palpebre, forse per non dover guardare. Avrebbe voluto restare a letto ancora ma era stata distesa troppe ore, e non per sonno, ma per perdersi in quel dormiveglia di fantasie più o meno controllate che potevano creare una realtà alternativa, o tante realtà alternative, ma che tutte finivano nell’orbita di quel dolore. Camminando, incontrando gente più o meno conosciuta, si chiedeva se la gente leggesse nel suo volto la presenza del dolore e se dissimulasse la scoperta. Avrebbe voluto urlare ma non se la sentiva nemmeno di parlare. Descrivere a qualcuno quella cosa sarebbe stato impossibile, le parole avrebbero banalizzato il suo dolore come un “piccolo normale accadimento” della vita oppure come “una piega del suo carattere”, al limite come un po’ di “esaurimento nervoso”. Non poteva tollerare una risposta che includesse che le fosse la vittima predestinata di una crudeltà universale. Eppure lei sentiva il suo dolore come il più grande di tutti, e le prendeva il panico nel pensare che non sarebbe mai passato. La frustrazione che nulla poteva per evitarlo. Come la vittima innocente di un accanimento di cui non si conosce la causa né la motivazione, come un gatto torturato da un gruppo di bambini, o un gruppo di bambini bombardati per chissà quale volere di necessità superiori. Ogni persona che incontrava, lo sapeva bene, aveva la sua croce, pesante, terribile, intima, ma in quella folla di portatori di croci lei si sentiva persa impossibilitata a vedere una via d’uscita. Non poter sperare in un dio, in un farmaco, in un aiuto esterno era la conferma di una specie di predestinazione allla sofferenza che aveva colpito solo lei ed era stata costruita solo per lei. Un immenso teatro che contenesse l’umanità, un piccolo palco con sopra lei e il suo dolore. Eppure c’erano stati giorni in cui quella sensazione era scomparsa, proprio dimenticata, vederla riapparire così in un istante era l’evidenza del sadismo della vita. Le aveva dato tregua per farla soffrire di più, per sconfiggerla proprio quando lei si sentiva di aver vinto. Camminò molto, con un passo svelto e nervoso, quello di chi sta andando in posto per fare una certa cosa, e non ha interesse in ciò che incontra sul percorso, come se la distanza tra la partenza e l’arrivo fosse solo un necessario impiccio da superare alla svelta. Cammino molto e arrivò alla fine della strada; non c’erano cartelli né segnali particolari ma era evidente che era arrivata alla fine della strada.
Foto:
Trieste, 2014