venerdì 8 giugno 2012

La chiave di un universo in promozione diretta

E’ comparso improvvisamente con una frase del tipo “ciao sono un cantautore e mi promuovo proponendo direttamente il mio cd”, e abbiamo scherzato e chiaccherato interrogandolo sul quanto fosse difficile fare musica per mestiere, oggi, qui. Il cd l’ho comprato, non certo per pietà o solidarietà, ma perchè ad ogni copia aveva incollato un piccolo oggetto preso da casa sua. All’inizio avevo addocchiato quello con una piccola ambulanza giocattolo, ma alla fine ne ha tirato fuori uno con una piccola chiave metallica. “Che chiave è?” aspettandomi un “bho”, invece lo sapeva ed era la chiave dalla cassa del negozio di ferramenta di suo padre. In quel momento avevo davanti un uomo, una storia, tante storie, un vorticare di universi passati e presenti. La chiave era quella della cassa della ferramenta e lui ci aveva lavorato il sabato, poi la chiave gli era rimasta, probabilmente persa in un barattolo o in scatola di cianfrusaglie, per ricomparire incollata alla copertina del suo disco. Non so se riesco a trasmettere il fatto che tutto ciò mi sembra straordinariamente bello, unico, quasi magico. Tengo in mano la chiave e mi sembra di sentire l’odore della ferramenta, la luce del sole che illumina in maniera differente i vari oggetti, le latte colorate, l’odore della polvere.  Ora che sto ascoltando la sua musica riconosco il suo modo di parlare nei suoi testi, in un modo più diretto e deciso di quella sera , adesso  immagino il suo ciuffo biondo oscillare al tempo degli accordi. E’ incredibile quanta vita si possa rubare in pochi minuti.

foto: Libero Tutti / Paolo Fan - giugno 2012

domenica 3 giugno 2012

In fondo anche questa è una preghiera

Secondo me è una contraddizione eccessiva che si parli di religioni contro religioni, di anti e di pro, proprio perché l’argomento è così universale che sembra un cielo. Io ci sono (ne sono quasi convinto), un dio o più forse, se però c’è tutto diventa semplice altrimenti tutto è un po’ demoralizzante, come  cercare parcheggio per andare a lavorare. Preso per buono questo punto di partenza ci si inizia a scannare sul resto: sui riti, i comportamenti individuali e sociali, i ruoli e i poteri. Ma questo cosa c’entra con la religione? Come se per organizzare le vacanze in gruppo non si decidesse se mare, città o montagna, ma il gusto del gelato che deve mangiare. Premesso che preferisco i gelati alla frutta e le città, non ne faccio una dottrina. Così un piccolo prete si ritrova schiacciato da un’immagine e un pregiudizio che riguarda un cardinale perverso e intrallazzato, si vendono santini e viaggi miracolosi, perdendo tempo a cercare di essere felici immaginando un amplesso col carrello del centro commerciale. Da qui diventa facile semplificare tutto come se i mussulmani fossero tutti farsi esplodere, i buddisti prendessero fuoco spontaneamente o i testimoni di Geova molestassero con gusto i citofoni. Mi ricordo che da piccolo a catechismo quando spiegavano che Dio mandò suo figlio per portare ordine nel casino che c’era la cosa mi sembrava molto logica, meno logica mi sembrò allora e oggi ancora peggio, che il casino due mila anni fa fosse peggio di questo. Cosa c’era di più o di meno? Le guerre ci sono, lo sfruttamento c’è, l’ingiustizia c’è, la miseria c’è, l’odio c’è e in più abbiamo il capitalismo e distruggiamo anche il pianeta. Forse l’unica grande opera è ricostruire la Torre di Babele, così si incazza di nuovo ma almeno di fa sentire.

Foto: Nun (?), presidio anticlericale Milano, 2 giugno 2012

lunedì 28 maggio 2012

Non si può imprigionare un arcobaleno


Non si può imprigionare un arcobaleno, al massimo si può fissarne l’immagine in una fotografia, ma non è la stessa cosa. L’arcobaleno è una cosa grande, alta come cielo e lunga come l’orizzonte, ogni contenitore esistente è comunque troppo piccolo. Non si può nemmeno conservarne un pezzo, perché esiste solo nella sua interezza e nel punto stesso in cui compare. Eppure insisto nel provarci. Ogni volte mi brucia la voglia di mettermi in macchina e inseguirlo fin dove tocca il suolo, non tanto per trovare la pentola d’oro degli elfi, ma per guardarlo appoggiarsi sulla terra, come i fiocchi di neve invece che come le gocce di pioggia nelle pozzanghere. Ma come le aurore, i tramonti, anche gli arcobaleni esistono solo in lontananza, come fantasmi e riflessi, come esibizioni di molecole vanitose che non si lasceranno avvicinare. Però si possono condividere, scoprire all’improvviso e indicare con stupore a chi ci è vicino, condividerli senza possederli, coglierli senza consumarli, lasciarsi incantare senza un risveglio dopo.


Foto: arcobaleno, 24 maggio 2012

domenica 20 maggio 2012

La mano invisibile


Sembra che esista, e che molti ne abbiano provata l’esistenza, una presenza che agisce in maniera invisibile nella nostra vita. Come una radice che compare all’improvviso nel bel mezzo del marciapiede per farci inciampare e subito scompare. Come un ladro veloce che vi nasconde un oggetto quando serve per restituirvelo quando diventa inutile. La stessa entità che vi sposta i cartelli stradali, gli abiti negli armadi, che vi trattiene o vi spinge ostacolando i vostri movimenti, apparentemente per mettervi in imbarazzo. Però è la stessa mano che picchia sulla vostra spalla per farvi voltare quando qualcuno vi sta fissando. E’ quell’alito che soffia all’orecchio scatenando brividi quando sentite che un momento speciale sta per incominciare. A volte è una guancia che si appoggia alla vostra quando la tristezza è esondata e sembra che ci sarà solo buio. Qualunque cosa sia, indipendentemente da dove venga, di che materia sia fatta, che sia reale o no, purtroppo sembra che non ascolti le nostre richieste, che non accetti ordini o desideri. In effetti l’udito è inutile alla sua esistenza, perché osserva solo noi, estrae i nostri pensieri e ci gioca: del resto del mondo non se ne cura. Se non riesco a concludere con chiarezza questo pensiero, o se ci sono errori in questo testo, è sicuramente colpa sua.

Foto: il suicidio dell’ombra, 2012

giovedì 3 maggio 2012

Papaveri rosso sangue






Mi metterò un appunto sul frigo del tipo “quando non hai voglia di partire, ricordati che è il momento giusto”. Sono bastati pochi chilometri per sentirsi abbandonare da una presa soffocante. E’ bastata una vacanza breve per prendere appunti su di me, tramite sogni agitati, del mio limite. La discesa nel pozzo di San Patrizio è stata una passeggiata: come camminare in una metafora del mio umore. Per fortuna che T. entusiasta delle strade antiche si è sobbarcata la guida di un migliaio di chilometri, lasciandomi perdere tra i faggi verdissimi dell’Amiata, le morbide colline che annunciano il mare, punteggiate di papaveri rosso sangue, che ora so non essere l’esagerazione dei poeti. Grazie anche al suo fidanzato che conosce fucine di pasta fresca che sono vere oasi di perdizione. Peccato la pioggia e le gocce che cadono sull’obiettivo della macchina fotografica, che fanno tuonare la mia rabbia placata sono dalla gioia di vedere gli amici estasiati tra le meraviglie di Niki de Saint Phalle. O perdersi nelle meraviglie di Spoerri, il cui incanto non è nella bellezza del singolo pezzo, ma dal volerti trattenere per sempre, per trasformarti (si spera) in un pezzo tra di loro. E c’era una piccola bambina che non voleva entrare nell’orco del parco di Bomarzo per paura che questo faccione di pietra la chiudesse nelle fauci. Cogliere la banalità di sentirsi dire che viviamo in un paese incredibile, dove ogni angolo nasconde un tesoro, dove ogni valle culla un miracolo. Non è necessario scovare un borgo aggrappato all’esistenza di un cocuzzolo di tufo, basta un capanno su una spiaggia, o un vicolo. Oppure i gradini di un antico convento trasformato in moderno albergo, consumati dai milioni di passi che li hanno accarezzati, come il vento con le rocce d tufo. Dovrei segnarmi i verbi all’infinito di questa piccola vacanza: andare, cercare, passeggiare, gustare, respirare, guardare, guardare, guardare.

foto: Viterbo, guardata con sospetto

venerdì 27 aprile 2012

Memorie dal sottogranchio



La sensazione è quella di una mano che ti afferri la faccia, come un granchio invisibile aggrappato ai lati del volto. Nessun dolore, solo un fastidio come un peso. In quelle mattine in cui mi alzo con questa sensazione già so che andrà tutto storto e non c’è nulla che possa smentire questa previsione. Il primo effetto è il non voler affrontare il giorno, sapendo che il minimo pensiero potrà turbarmi. Il secondo è un’ipersensibilità all’umanità generica, ovvero un’assoluta intolleranza a tutto. Tutti gli altri sono effetti conseguenti: quindi ogni borsa sarà inadatta alla macchina fotografica, ogni valigia sarà o troppo grande o troppo piccola, le cose da portare in viaggio sono troppe e, allo stesso tempo, troppo poche. L’esperienza è contagiosa: oggi in due servizi consecutivi ad un telegiornale hanno esaltato il week-end di sole che invita al mare e hanno conseguentemente descritto il Sole come il più velenoso degli elementi naturali. Per non parlare di una sterile polemica sul fatto che al concorso Miss Costarica non possano partecipare le donne sposare ma lo possano i transessuali, e quindi in cavillosa e moralistica definizione di “signorina”. Per fortuna nel tardo pomeriggio mi è venuto un semplice mal di testa, così alla domanda “che cos’hai oggi?” posso rispondere senza dover srotolare un post da anziano lamentoso sui mezzi pubblici.

foto: "100 sogni morti sul lavoro" Installazione di Gianfranco Angelico Benvenuto, Piazza Duomo, Milano

sabato 21 aprile 2012

20 Aprile 2012

Alla fine tutto si è svolto come in un racconto complicato, dove la trama lascia spazio affinché l’imprevisto vi ci si infili senza farlo mai. Alla fine del giorno quando tornavo in auto e il sole ad ovest calava visibilmente, sui cantieri abbandonati dal lavoro, ne avevo la consapevolezza. La preparazione impeccabile, la presenza di tutta la  famiglia, le settimane di tensione ormai dissolta ne sono stati i protagonisti. E così, con un sorriso raggiante, senza tentennamenti, con una serenità fatale, mia sorella si è sposata. E si è sposata veramente. Ed eravamo tutti li con il libretto azzurro in mano come se fosse un gioco, una recita organizzata, invece di cogliere che da quel giorno sarebbe cambiato tutto. Anche il cielo che ha deciso di rovinare la Primavera ieri si è messo dalla parte dei simboli e ha aspettato il “sì” per cambiare colore. I sorrisi degli invitati si sono sciolti nel vino, non quelli di cera dei camerieri, che alla fine del giorno avranno doloranti i piedi e la faccia. Io che sono sempre in ritardo, non sui tempi, ma sulla sceneggiatura, mi sono accorto che non ero più teso solo verso sera quando ho incominciato a cercare i confetti nelle tasche stracolme degli invitati. Quando mio cognato (perché adesso ne ho uno anche io) mi ha detto: ma noi non abbiamo ancora brindato. Abbiamo fatto una curva ed è cambiato il paesaggio, ma è lo stesso viaggio.

foto: 20 Aprile 2012