“Mamihlapinatapei” è tutto ciò che riesco a pensare; la penso come è scritta perché non la so pronunciare. Incrocio lo sguardo di un tizio che forse conosco, di fatto ci guardiamo ma nessuno dei due saluta l’altro, ancora “mamihlapinatapei”. Penso alla ragazza mora che ha sbagliato a premere il pulsante dell’ascensore e mi ha guardato forse per scusarsi, con due occhi roventi, aspettando forse un mio commento simpatico, invece ho sorriso, ancora mamihlapinatapei. Penso che ci sarebbero un paio di cose che dovrei fare, che però posso rimandare, aspettando che le faccia qualcun altro per mille motivi, ed è ancora mamihlapinatapei. Questa parola che viene dalla Patagonia si potrebbe tradurre come lo sguardo di due persone che vogliono iniziare qualche cosa ma sono entrambe riluttanti nel cominciare. Quanti momenti così ho vissuto e solo per il fatto che ancora me li ricordo significa che, per lo meno, me ne pento. Eppure non basta ricordarsi di episodi simili passati perché non si ripetano più. Sarà per timidezza o per orgoglio, per paura o per arroganza questo rinunciare a scoprire il petto durante l’attacco mi porta allo stallo. Questa parola che ho scoperto oggi sostituisce l’idea di trovarsi davanti ad una matassa di fili, non quelli di una bomba che si devono tagliare prima dello “zero”, ma quelli da seguire per districare il garbuglio dei pensieri e fare ordine. Invece si resta immobili a contemplare la matassa, a seguire la luce che si incastra nei fili e non riesce a colare fino al nucleo del groppone. Non solo di quello che resta in gola. Questa si chiama impasse, perché da soli non può essere mamihlapinatapei.
foto: centro stella, 9 ottobre 2010
foto: centro stella, 9 ottobre 2010
è chiaro che se le fotografi così poi ti incanti a guardare le matasse.. :*
RispondiEliminagià, forse dovrei prendere la cosa con più distacco...
RispondiEliminaè chiaro che se l'avessi socializzata davanti un calice si sbrigliava magari solo un pochino. o forse no. ma eravamo li con gli occhi pronti a ipnotizzarci in gruppo.
RispondiEliminai.
cara i, mi siete mancati.
RispondiEliminaè vero che a noi maca una parola che serve per far capire all'altro che si è propensi a comunicare anche se bloccati; il semplice ciao non rende l'idea ma si impone, allora magari cerchiamone o creiamone una .....
RispondiEliminaBelli i tuoi pensieri.
ciao Carlo
Grazie Carlo, ciao.
RispondiEliminaallo stesso tempo, quanto sono belle e a volte intense le parole degli incontri casuali e inaspettati, quando riesci a materializzarle... in metro, sul tram, e per finire un "arrivederci" anche se non ci si rivedrà mai più
RispondiEliminaE' bellissimo quando per un breve momento in stai parlando con uno sconosciuto, o una sconosciuta, senti che condividete qualche cosa di esterno, come un esperienza, un valore, un'opinione. In quel caso "arrivederci" è un augurio ce ci si fa.
RispondiEliminaCiao, anzi, arrivederci