giovedì 27 dicembre 2018

Il deserto


Il deserto io lo conosco bene: ci ho abitato. Non importa dove vivo o dove ho vissuto, il deserto me lo portavo dietro. Non pensare al deserto delle emozioni, delle relazioni o dei valori morali, geograficamente era più simile al deserto sabbioso del cinema. Il deserto prima di tutto è un spazio ampio, senza confine se non l’orizzonte. E’ quindi un posto da cui non si può facilmente uscire, non ci sono strade o sentieri, forse ci puoi trovare delle  direzioni, ma imprecise. Sul deserto il sole compie un arco e ciò complica ancora di più l’orientamento. Il paesaggio è costante anche quando è mobile, o meglio, se si muove si riconfigura in un modo comunque già visto, o che ti sembra tale. Puoi stare sulla sabbia, sulla roccia, sull’erba gialla, sull’acqua, sempre deserto è. Nel deserto non dovresti incontrare nessuno di vivo, tranne animali pericolosi, umani compresi. E’ chiaro che è un posto da evitare ma come tutti i posti pericolosi ci attira potentemente; la nostra mente ha bisogno di una pagina bianca per disegnare, senza appigli che semplifichino il finale del percorso. In questi spazi aperti possiamo immaginare tutto ma cercheremo sempre un riparo, un persona assente, un tesoro o una città perduta. Il deserto è come quello stato intermedio della pelle che dopo una bruciatura tende a guarire, ma lascia sempre un alone del segno della ferita, una pelle differente di tipo diversa da quella che la circonda. Il mio deserto era particolare: tutto bianco, come se fosse di marmo, ma non freddo quasi tiepido. Era molto silenzioso, ma non c’erano echi o la pressione del vuoto sui timpani; come se qualcuno si fosse dimenticato di accendere l’audio durante la proiezione di un film. Era piano e liscio, ma attraversarlo era faticoso come andare in salita, come camminare con l’acqua sopra al ginocchio. Era molto personale, tanto da non riuscire a mostrarlo a quelli vicino a me, ancora oggi mi è difficile descriverlo. Non ci vivo più da un po’ ma me lo porto dietro; non vorrei mai usarlo come rifugio ma sento che all’improvviso potrebbe risucchiarmi. Allora lo scrivo qui così saprai dove trovarmi.


Foto: Sittin' on the dock on the bay Aprile 2017

venerdì 21 dicembre 2018

L'uomo con le ossa di vetro


C’è un posto dove abita un uomo con le ossa di vetro e si può ben capire che tipo di vita faccia. Ogni piccolo incidente, ogni istantanea sfortuna, può essere per lui la rovina. Qualcuno dice che sia un fuoriuscito da un film di JP. Jeunet ma ciò non è importante.
Eppure quest’uomo vive una vita normale: esce di casa la mattina e usa i mezzi pubblici, lavora a contatto di altre persone, esce con gli amici, va alle feste. Ovviamente presta molta attenzione a chi gli sta intorno, ai distratti, a chi parla sbracciando, ai marciapiedi dissestati, agli spigoli dei tavoli e dei comodini, alle porte automatiche, alle inaugurazioni dei centri commerciali. Negli anni si è procurato molte fratture, ma che tutto sommato si rimarginano velocemente, alcune però gli fanno ancora male e spesso scricchiolano rievocando l’incidente che le ha generate.
Nei momenti di silenzio, oltre al suo respiro, se gli state molto vicino potete sentire un rumore di cucchiaini che toccano leggermente un bicchiere di cristallo: sono i ricordi dolorosi delle sue fratture.
A volte senza urti, senza incidenti, senza apparentemente motivo qualche cosa si rompe dentro di lui e l’uomo risuona come un disco di Mike Oldfield ed una vampata di dolore lo invade. Quindi gli capita  nel mezzo di un gesto normale di fermarsi congelato quasi fulminato. La vampata dopo qualche minuto, a volte qualche mezz’ora, passa ma lascia in lui la rinnovata consapevolezza della sua fragilità, anch’essa molto dolorosa.
Per una sorte bizzarra la gioia non emette rumore, ma sono certo che sotto la pelle le sue ossa si illuminano di luce bianca, come un lampo al fosforo in un film in bianco e nero.
Sono tanti i suoi momenti di gioia  ed è per questo che l’uomo dalle ossa di vetro non rinuncia al dolore, sa benissimo che ciò che per gli altri è un piccolo fastidio per lui può essere un grande dolore , ma ciò che per gli altri è un piccola gioia per lui è un orgasmo di luce. 



Foto: Christmas Nest, PB 2018

giovedì 22 novembre 2018

Il posto degli indovini


Non esiste un equilibrio tra legge e dovere. La legge, sia essa frutto di un profondo ragionamento, di un processo storico o di un capriccio dispotico è per sua natura ineccepibile. E’ solidamente statica nel suo dispositivo grammaticale e agisce, nei modi e nei tempi che descrive,  quando le condizioni che esse stessa prevedono la fanno innescare. Ci sono le attenuanti ma sono descritte per legge e non possono invertirne il senso. C’è il dovere che agisce secondo una legge morale, o etica, collettiva o individuale. Al dovere e alla legge si può disobbedire grazie al consiglio dei saggi o degli indovini, dipende dalle epoche e dalle letterature. Antigone non poteva obbedire alla legge e lasciar marcire il cadavere del fratello sotto le beccate degli uccelli. Il disposto di Creonte secondo cui il corpo del traditore non dovesse aver sepoltura, per lei decadeva di fronte ad un comando che arrivava dal passato, dagli avi, da un non codificato messaggio insito nei valori familiari. 
Creonte non si mosse a pietà e volle mantenere salda la sua legge per non sembrare debole di fronte al popolo e non far vacillare l’autorità: se la legge viene manipolata a piacere il legislatore non è più credibile, perché non è più il punitore; nella punizione sta il senso della legge. L’oracolo lo convinse a cambiare idea perché la sventura del suo atto era evidente nelle sue arti. Antigone forte della sua missione morale non accetta l’eterna prigionia e si uccide, accecata dall’idea della inevitabilità della morte per aver violato la legge degli uomini (benché abbia rispettato quella degli dei). Antigone non ha oracoli che la consiglino ma ha la storia e il mito di Danae che condanna dal padre (su previsione di un oracolo) alla prigionia in una torre per non avere figli viene fecondata da Zeus. Se avesse atteso sarebbe stata salvata dal pentimento di Creonte e forse dall’azione del figlio del re, Emone.
Creone ricorre all’oracolo per sentirsi dire ciò che nella sua coscienza già sa e che può leggere negli occhi dei tebani, nonché ascoltare nei consigli di chi gli è vicino.
Edipo ricorre all’oracolo di Delfi per trovare il modo per liberare la città dalla sofferenza e ricorre all’oracolo Tiresia cieco per scoprire la verità sull’assassinio del re precedente. Tutta la storia di Edipo è legata agli oracoli. Suo padre lo fece abbandonare perché l’oracolo aveva previsto che sarebbe morto per mano del figlio, quando Edipo scopre la morte di chi pensava fosse suo padre , crede di aver sconfitto la previsione. Ma il suo vero padre era già stato ucciso da lui anni prima. L’oracolo gettò sulle spalle di Edipo un vaticinio appiccicoso, ma se Edipo avesse potuto conoscerlo prima dell’incidente col padre avrebbe potuto evitarlo? Di fatto si esiliò per evitare di uccidere chi pensava fosse suo padre ma non rinunciò a portare con sé la violenza con cui ha ucciso il suo vero padre. Edipo cieco diventa un oracolo e fa previsioni sui figli maschi, sul re di Colono, ma non sulle figlie. Sarà il figlio a chiedere alla sorella una degna sepoltura in caso di sua morte, perché le legge era chiara. Edipo si acceca per non dover più guardare il mondo e i suoi famigliari nemmeno nell’Ade, si obbliga a guardare dentro di sé e così diventa un indovino. Il nostro destino se è scritto è scritto dentro di noi, non nel genoma, ma nella storia delle nostre azioni che solo noi conosciamo, nel fondo del buio che fa tanta paura.



Foto: Stones, Agosto 2018

martedì 13 novembre 2018

Le “meraviglie” del 2000


Emilio Salgari scrisse “Le meraviglie del duemila” nel 1907 immaginandosi due uomini americani che grazie ad un antico liquido si siano addormentati per 100 anni risvegliandosi nel secolo successivo. Questo romanzo è considerato un precursore della fantascienza italiana, ma si sà che la fantascienza scienza non è , anzi spesso è usata per parlare più del presente che  del futuro. Certo è affascinante cercare ciò che Salgari ha indovinato o previsto e fa tenerezza una certa fiducia nel progresso tecnologico fatto di elettricità, acciaio e gigantismo. Se dovessi indovinare da questo libro cosa pensasse Salgari del suo tempo però ne avrei quasi ribrezzo. La società ideale dell’autore è molto  più vicina ad un incubo che a un desiderio utopico. Sembra che il destino dell’umanità sia “vivere e lavorare in tranquillità” poiché grazie all'elettricità non solo la locomozione e la produzione in generale sono facilitate, ma anche gli uomini si muovono più velocemente per via degli ambienti elettrizzati. Il pianeta ormai è iperpopolato (meno dell’attuale) e ogni foresta è stata eliminata per coltivare la terra; il legno del resto non serve più, come ogni combustibile fossile, a parte il radium: fonte di luce e di calore infinite. La popolazione dominante è quella europea-americana che ha dominato il mondo , mentre eschimesi e nativi americani sono quasi scomparsi a causa della loro non accettazione del progresso. I cinesi hanno rischiato di scomparire per fame e li abbiamo salvati per un pelo. Nel romanzo c’è un solo negro e ovviamente è un servo. Ci sono i ricchi e i poveri, perché come sottolinea l’autore, così è sempre stato. Solo che i ricchi mangiano a tavola con piatti serviti automaticamente dai ristoranti, mentre i poveri (quelli che devono sbrigarsi a mangiare per andare a lavorare) inghiottono pastiglie tipo astronauti. 
La bella  notizia è che Marte è popolato e che i “martiani” possono comunicare con noi, la brutta è che sono molto “brutti”, o buffi secondo i punti di vista. I governi hanno abolito la guerra per non distruggersi (siamo nel 1907) e agiscono come coordinatori del progresso, assicurando i carcerati in prigioni sottomarine e gli anarchici al Polo Nord, in modo che si raffreddino gli animi.
Dei socialisti si fa cenno alla loro estinzione per inutilità o per noia, poiché la Russia è una repubblica e la Siberia uno stato a parte. L’Europa ha perso i grandi imperi ed è nata la Polonia. Su tutti vige il tribunale dell’Aia. L’Italia ha riconquistato Istria, Dalmazia, Nizza e Corsica. 
Che cosa resta della società futura di Salgari,a parte gli esili e le stragi di ribelli ? Una società dedicata al lavoro e che non ha possibilità di progresso ulteriore se non colonizzando lo spazio. Il nostro Emilio non parla di arte, di letteratura, di musica, come se fossero ornamenti di una civiltà preistorica. Non parla di religione né di spiritualità. Ci confeziona città di grattacieli e macchine volanti , atmosfere elettriche e una morale rigida di lavoro e accettazione del presente. Si fa venire un dubbio solo nelle ultime due righe: una società così forse è solo destinata ad impazzire? 
Quanto avrei voglia di vedere questo mondo tra cento anni, ma temo che sarebbe cambiato poco da oggi. Certo nuove scoperte sconvolgerebbero la mia concezione del quotidiano ma che fine avranno fatto i sette miliardi di abitanti? Nessuna nuova guerra planetaria?  Lo spazio sarebbe a portata di mano? I genitori registrerebbero i figli su Facebook alla nascita? E i loro nomi inizieranno per “#”? Non è possibile, il nostro è un piccolo presente per essere base di un futuro a lungo termine. Se è vero meglio così: si può ancora fare qualche cosa! Al limite ci si vede al Polo Nord.


Foto: Quadrisfera -  Museo Casa Cervi - Gattatico (RE)

sabato 27 ottobre 2018

Il tempo sospeso prima del bacio



I visi degli amanti si fronteggiano scambiandosi di messaggi inviati con la sola forza della telepatia e di qualche micro muscolo che contribuisce a impercettibili alterazioni dello sguardo.
Pochissima aria passa nello spazio tra le punte dei due nasi e una tale vicinanza porterà sicuramente ad un bacio. Ma il bacio non arriva, si rimane nel tempo sospeso che anticipa il bacio. Schioccherà sicuramente, all’improvviso, perchè non potrà più essere trattenuto; mentre le labbra dall’altra parte saranno pronte ad accoglierlo in un millesimo di secondo. Ma intanto il bacio non c’è, c’è invece un’attesa non ansiosa, c’è quel flusso di messaggi che riempie lo spazio. Le pupille oscillano da destra a sinistra per mettere a fuoco gli occhi amati, uno per volta, ma subito è necessario passare all’altro. Il sorriso è profondo, incarnato nella faccia, le labbra cambiano assetto frequentemente, confuse tra il sorridere e il dover baciare. E’ un tempo senza ritmo, una sospensione del tutto, anche delle regole e dei ruoli. Non importa chi farà partire il bacio, non importa quando. L’attesa non è data né dall’orgoglio né dalla timidezza, ma dalle tante cose che riempiono quello spazio e che viaggiano sul flusso dello sguardo e del pensiero. Ma ecco! Il bacio!







Foto : Maria Martins - O impossivel - 1945

mercoledì 4 luglio 2018

Il posto dove vivo



Perché mi segui nel mio vagabondare di cacciatore di momenti, di collegamenti e di simboli?
Non ti nascondere tra le ombre ed evita di travestirti da cespuglio: che a Milano balza subito all’occhio. 
Puoi seguirmi restando dietro pochi passi, tanto non scappo, non voglio nascondere il luogo dove abito.
E’ dove vorrei abitare appoggiando il cuore per sempre , quello stanco ma non arreso. La forma è 
perfetta per nascondere il volto, appoggiando prima la fronte, lasciando scivolare le labbra e poi la 
guancia. Scelgo la guancia destra, il modo che la curva del naso coincida con la forma del collo.
Da quel punto si gode una vista incredibile, perché ora ci credo. Vedo tutto il mio presente sospeso
 in un continuo di felicità. Vedo il mio passato archiviato, come in prescrizione;  anche le cicatrici
 le posso accarezzare distrattamente: non bruciano più, o bruciano poco.
Ammiro il futuro: basta sbirciare lungo la valle che da sulla schiena e so che da qualche parte c’è
 un momento di amore intenso e gioiosa fatica. Tutto intorno è pace e battito ritmico di cuori, lievi 
respiri e qualche bacio.
Vivrei lì per sempre, senza metafore, senza bisogno di altro.




Foto: the place where i live, luglio 2018

mercoledì 23 maggio 2018

Fuori dal bosco


All’improvviso fu una luce accecante che gli esplose in faccia segnando un passaggio dal buio del bosco al sole più arrogante. Ci vollero un po’ di respiri per rendersi conto che il paesaggio era cambiato, che davanti aveva una pianura morbida vezzosamente adornata di colline. Si voltò a guardare il bosco, fitto, nero, e non negò a se stesso la tentazione di tornare dentro in quel mondo ostile, ma che conosceva bene, che per tutta la vita aveva abitato. La schiena era ancora nel freddo dell’ombra, il petto cuoceva nel sole, era tagliato in due dal timore di non toccare nulla , di commettere l’ovvio gesto sbagliato che condanna al lungo pentimento. Restare immobili non ci salva dall’errore, ci toglie la responsabilità di agire delegando il potere alla paura: alla fine resta comunque il pentimento. Ma il sole gli andò incontro benevolo e deciso.
Lasciò cadere lo zaino ma non si sedette a terra, si limitò a guardare il panorama, a mangiarlo per metterselo dentro nello stomaco. Se pochi secondi fà la sorpresa lo voleva ricacciare nel bosco ora aveva paura di tornarci, temeva che tutto questo fosse un sogno. Il bosco era dietro e sembrava allontanarsi, ritirarsi nel passato, per entrarci ora avrebbe dovuto inseguirlo correndo. Intorno non c’era traccia di altre fitte boscaglie, di sentieri arrampicati sulle coste delle montagne sempre sotto la pioggia; c’era solo il prato morbido, il sole e il cielo punteggiato di nuvole con un ruolo strettamente decorativo. In passato il bosco gli aveva concesso delle tregue, degli sprazzi di sole che sembravano la giusta libertà, ma poi si era richiuso imprigionandolo di nuovo.
Nel lungo vagare inseguendo le luci nella folta boscaglia aveva inventato il suo sentiero non avendo tracce che lo aiutassero; camminando e inciampando aveva tanto sognato il mondo fuori dal bosco e ne aveva fatto un progetto ben definito nella sua mente. Il disegno del mondo “come  avrebbe dovuto essere” era descritto in ogni dettaglio e adesso quel mondo era davanti ai suoi occhi. Non era l’emozione a dare questa illusione, era l’erba che si muoveva nella brezza esattamente come lui aveva immaginato si muovesse, così il ruscello faceva il giusto rumore e la temperatura sulla pelle era perfetta. Poteva essere solo un sogno se la perfezione del desiderio non esiste nel mondo. Il bosco allora era un posto più sicuro perché nella tragicità del dolore c’è la certezza del reale, della vita. Il sogno è la vita sospesa, è il cuore che si prende una pausa e chiede al cervello di cantargli una canzone. Ma il sogno, ammesso fosse un sogno, continuava; allora tanto valeva la pena di prendere lo zaino e attraversarlo, di gustarselo fino in fondo questo sogno, tanto al risveglio ci sarà tempo per bestemmiare nuovamente il dio carceriere. Si infilò uno stelo d’erba tra le labbra, si sorprese per il sapore che incredibilmente già conosceva e si avviò verso una valle tra due colline dal profilo dolce, dove il tramonto appoggiandosi sembra disegnasse un sorriso di benvenuto.


foto: In/Out