Non si può imprigionare un arcobaleno, al massimo si può fissarne l’immagine in una fotografia, ma non è la stessa cosa. L’arcobaleno è una cosa grande, alta come cielo e lunga come l’orizzonte, ogni contenitore esistente è comunque troppo piccolo. Non si può nemmeno conservarne un pezzo, perché esiste solo nella sua interezza e nel punto stesso in cui compare. Eppure insisto nel provarci. Ogni volte mi brucia la voglia di mettermi in macchina e inseguirlo fin dove tocca il suolo, non tanto per trovare la pentola d’oro degli elfi, ma per guardarlo appoggiarsi sulla terra, come i fiocchi di neve invece che come le gocce di pioggia nelle pozzanghere. Ma come le aurore, i tramonti, anche gli arcobaleni esistono solo in lontananza, come fantasmi e riflessi, come esibizioni di molecole vanitose che non si lasceranno avvicinare. Però si possono condividere, scoprire all’improvviso e indicare con stupore a chi ci è vicino, condividerli senza possederli, coglierli senza consumarli, lasciarsi incantare senza un risveglio dopo.
Foto: arcobaleno, 24 maggio 2012