sabato 25 agosto 2012

La quarta parete oltre la buca

Di tutto ciò che posso pensare completo, profondo e umano, poco regge il confronto con il teatro. Non c’è finzione che tenga, nemmeno se la scenografia è complessa e tecnologica, non c’è virtualizzazione o effetto speciale che regga il passo con l’attore che recita. Oltre la pittura, la poesia, l’arte in generale, di tutto quello che si può creare il teatro è forse la forma di narrazione più completa. Certo se voglio imprigionare un paesaggio scatto una foto, e anche qui ci sarebbe molto da dire, però se devo raccontare un storia io immagino il teatro. Tutto parte dall’avere una storia da raccontare, vera o inventata, scritta o improvvisata, da fare propria. L’attore la mangia, la mastica, la inghiotte e la fa diventare fibra del proprio corpo. Poi si cerca il posto adatto, che sia una sala o un prato, un palco o un parcheggio, perché lo spazio possa contribuire nella rappresentazione. Si mettono i pezzi di scenografia che mancano, le luci e i contributi sonori. Poi c’è il pubblico, perché la storia esiste solo se c’è qualcuno a cui raccontarla. A questo punto l’attore, o la compagnia di attori, si prende tutto lo spazio e il tempo per raccontare la storia. Non solo la loro voce, ma il corpo, il movimento, l’interazione diventano parte della narrazione e ogni gesto rafforza e sostiene le parole, se parole ce ne sono.  Forse anche per questo mi fanno paura gli attori, un po’ perché si trasformano, un po’ perché assorbono il mondo che gli sta attorno e interagiscono usando se stessi completamente. Il loro strumento di lavoro sono loro stessi, generosamente impiegano il loro corpo e si plasmano per diventare racconto.


foto: Dallo spettacolo “Le meccaniche dell’anima” - Compagnia Opera Liquida - Carroponte 24 agosto 2012

martedì 31 luglio 2012

Carta d'identità a volumi


Traslocare una libreria, anzi i libri, da una casa ad un’altra non è come spostare un armadio o un letto. Non puoi riempire le scatole, trasportarle, per svuotarle sui nuovi scaffali. La vecchia libreria era molto grande e aveva i ripiani con i libri in doppia fila, tripla se contiamo quelli rovesciati sopra; anche quella nuova potrebbe, ma non voglio più che mi sfuggano alla vista libri che ho amato. Quindi ho fatto passare uno per uno i volumi e credo di aver speso almeno un pensiero per ognuno. Di alcuni mi si illuminano i brani, di altri le emozioni che mi hanno provocato, oppure il ricordo di chi me lo ha regalato o consigliato. Molti sono rimasti nel vecchio scaffale, porto con me solo quelli che non riesco a lasciare, quelli che vorrei riprendere in mano e quelli di cui voglio essere sicuro della presenza. Ora vorrei organizzarli per argomenti o per salti logici tutti miei, però lo spazio è un vincolo rigido e di legno. Sarebbe bello che uno sconosciuto entrando in casa  e osservando le coste dei volumi decida con lucida consapevolezza se darsela a gambe o sedersi sul divano e iniziare una lunga chiaccherata. Il mio esibizionismo indiretto passa anche da qui, dal mio spazio, come se un pezzo del mio codice genetico fosse stampato e impilato in uno scaffale. Una specie di fotografia a caratteri tipografici degli ultimi miei dieci anni e un pezzo di quelli prima.
Ho lasciato molto spazio ai libri che verranno, sarebbe un errore tattico averla già riempita, però magari una più piccola in altra stanza potrebbe fare da rifugio secondario. La nuova libreria resterà vuota a metà per un po’, in modo da assomigliarmi del tutto.

foto: New bookshelf, Luglio 2012

lunedì 23 luglio 2012

E ti vengo a leggere nei segni


Fa freddo qui fuori e quando c'è il sole si brucia. Si sentono urla strazianti, grida minacciose. Se il terreno non fosse così duro scaverei con le unghie per nascondermi. Vedo aggirarsi ombre luride, dalle braccia lunghe, con gli artigli. Non conosco le loro intenzioni, non posso leggere il loro cuore perché sono esseri senza occhi. Nel silenzio sento l'eco del mio cuore che impazzisce, lo stomaco si contrae e gli occhi lacrimano per la polvere delle macerie. Mi sono consumato le nocche bussando, non ho più voce, solo disperata pazienza. Passo i polpastrelli sul bordo della porta, cerco di interpretare le scalfiture come messaggi e la posizione dello zerbino come un invito, o un rifiuto. Le finestre sono murate e non sento rumori provenire dall’interno. A volte sento dei sospiri, ma temo sia la mia immaginazione. Non ho scelto la strada che mi ha portato fino a qui, è stato il caso, che io benedico. Anche se fossi nella più accogliente delle oasi, nel più caldo tepore di una casa, verrei qui a bussare. Mi senti?

foto: NO - Giugno 2012

domenica 15 luglio 2012

Domenica


Qualche cosa è cambiato da qualche parte, nel mio cervello, nei miei occhi, nei giornali che leggo. Il sabato non sempre compro il giornale, ma quando lo faccio è solo perché ho del tempo da dedicarci e se non trovo nulla che richiami l’attenzione lo butto via con rabbia. La domenica ne predo sempre e comunque due perché hanno un ricco inserto culturale, uno più bello, l’altro differente e più lontano da me. Non più di un anno fa leggevo gli inserti con lentezza, ad ogni pagina trovavo argomenti in cui perdermi,  titoli di libri da avere assolutamente, posti e cose da scoprire. Poi è successo qualche cosa e anche questi inserti mi scivolano tra le mani senza lasciare nessuna traccia della fame che avevo. Uno di questi ha cambiato da poco direttore ma non so quanto questo c’entri. Io sono sensibile alle passioni improvvise, ma quando mi prendono non sfumano velocemente e per un po’ le porto con me.Magari le archivio in qualche cassetto frigo per l’uso al momento giusto. Non ammetto che quella sensazione fosse una mia moda personale.  Forse sono diventato meno curioso o forse so che ho meno tempo ed energia da dedicare a nuove cose e quindi, inconsciamente, le ignoro. Adesso voglio tornare com’ero prima e, sappilo, Chiaberge mi manchi.


foto: Avanzi, Luglio 2012
 

venerdì 29 giugno 2012

Myself


C’è un gran silenzio ovunque, solo di tanto in tanto qualche rumore di sedie spostate: sta per iniziare la partita. Aderisco molle alla presa del divano, con il braccio destro lungo lo schienale tengo il bicchiere tra i polpastrelli facendolo girare pigramente. L’altra mano è appoggiata sulle gambe con l’anulare che fa da segnalibro alla rivista. Ho abbassato tutta la luce della casa, un po’ ne filtra tra le fessure delle tapparelle, resta una lampadina alle mie spalle che mi ricorda che non ho ancora comprato un lampadario. Troppo buio per leggere, troppo caldo per muoversi. Inizia l’inno, lo ascolto in lontananza dall’audio dei vicini, tutti i vicini. Lo canticchio piano, lo trovo sempre molto coinvolgente. Iniziano le urla sconnesse, le bestemmie, i “no” e i “sì”, per lo meno non ansimano. Credo che avrebbe più senso, e forse sarebbe l’unica attività che possa muovermi ora da qui. Casa, divano, whisky, penombra, quando ho immaginato questo traguardo? Quanti anni sono passati dalla prima volta che l'ho? Oggi sento che l’ho raggiunto. Vuoto il bicchiere, mi alzo, accendo la radio e prendo la macchina fotografica: mi riconosco.

foto: It's my time now, 29 giugno 2012

venerdì 22 giugno 2012

Si chiama Estate


L’odore dell’estate è quella dei tigli, dell’aria calda della pianura che sa di prato e resta ferma sotto il naso. E’ il calore dolce del tramonto, quasi fosse una promessa per una notte accogliente e non insonne e sudata come invece sarà. Le voci dei bambini non sono soffocate dalle case, dai lampi del televisore acceso, ma squillano e ripetono le stesse frasi da migliaia di anni, così i richiami delle madri. Vorrei chiamare l’amico di tutta un’infanzia e urlargli, ridendo al telefono, “non è cambiato niente! non è cambiato niente”. Quell’eterno gioco a nascondino, le cretinate dette, oppure i segreti raccontati a bassa voce quando il cielo era già scuro e ci faceva sentire grandi ritardare l’ora del rientro. Oggi il mio amico starà facendo lo stesso pensiero guardando le sue due figlie giocare in giardino. Maledetta adolescenza che avveleni i giochi dell’infanzia per scimmiottare la tragedia degli adulti. Così da adulti giochiamo a fare i bambini ma senza l’impegno e l’illusione del tempo infinito e la volontà di voler occupare tutta un’estate.


foto: Summertime, 22 giugno 2012

domenica 10 giugno 2012

Gli ultimi saranno in ritardo


Sono spesso in mezzo a noi ma li percepiamo solo come un fastidio, nulla di più, senza ipotizzare che possano essere altrimenti, come le zanzare. Da quando sono apparsi sulla sulla terra sono  stati allontanati, cacciati, rinchiusi, schiavizzati, sterilizzati, massacrati eppure sono ancora nelle nostre città ma noi ne vediamo solo la mano tesa. Se strizzassimo un po’ gli occhi potremmo cercare di mettere a fuoco il polso, il braccio e infine la persona che c’è in fondo.  Mi sono fatto una domanda, ma com’è possibile che ci sia gente che viva così per scelta? Com’è possibile che si possa voler vivere da nomadi, nelle roulotte, nei campi? Chi può scegliere come vita il mendicare, piccoli furti o truffe? Non sapendo dove trovare la risposta il caso mi ha messo nelle mani un libro. Anzi il libro, una vera enciclopedia del mondo romanès e della loro cultura, perché guarda caso ne hanno una. Anzi, nonostante la persecuzione hanno conservato gelosamente la loro cultura, intatta, non arresa. I mendicanti che incontriamo sono la parte evidente di un popolo disperso nel mondo, per lo più integrato e sedentario. Ovviamente noi vediamo solo gli “zingari” che ci tendono insistentemente la mano, un gesto di resa per un popolo che non si è mi arreso ed è l’unico popolo che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Non basta un libro per allontanare la diffidenze, a me non è bastato, ma scardina la visione monocromatica del bianco e del nero, del giusto e dello sbagliato, della ragione e del torno, del raccontato e del vissuto. Santino Spinelli è una Virgilio molto bravo se in un giorno di ardore vorrete liberare un pezzo del vostro pensiero mai abbastanza libero.

Foto: In una piazza vicina, il giorno dell’arrivo del papa a Milano.